Un altro anno se ne sta per andare. Alla fine, vista la situazione attuale, banditi canti e balli e feste di piazza, per salutare l’anno che arrivati questo punto, meglio affidarsi al cibo. Quando si parla di cenoni le fantasie scattano libere e sfrenate. Nulla da dire ma, per quanto ci riguarda, a tavola, siamo sempre propensi a darci una bella occhiata all’indietro. Tuttavia, contrariamente al Natale, la tradizione del Capodanno è piuttosto recente. In questo senso potrebbe essere, certamente, più arduo indicare un piatto della tradizionale. E allora cosa mangiare in occasione del Capodanno genovese?
Altrettanto vero è che, mai come in occasione di questa festività, i menu si sono globalizzati o sono stati demandati al ristorante, luogo dove è ricorrente attendere la Mezzanotte. E allora si assiste alla messa in tavola di format standardizzati, da un parte, dove eccelle il tradizionale zampone con lenticchie. Dall’altra l’estro degli chef porta a “griffare” le proposte in base alle scelte e alla portata del locale. Fino ad arrivare alla proposta di un cotechino di mare (nella foto quello di Marco Visciola chef del Marin) Tuttavia, proprio perché in vista del cenone le fantasie scappano un po’ da ogni parte, proviamo a dare qualche consiglio.
proviamo un po’ a sparigliare le carte andando a farci raccontare qualcosa dalla tradizione orale delle famiglie. E allora salta fuori che il 31 dicembre, sulle tavole di molti genovesi, saltavano fuori le trippe accomodate e fumanti.
Insomma, un tripudio di “centopelli” per il Capodanno genovese che, un tempo, nelle antiche tripperie presenti in ogni quartiere, veniva abilmente tagliata in modo finissimo da abili signore. Di tripperia ce n’era una celeberrima a Sampierdarena, la tripperia Scapolla, dove, proprio all’ingresso, c’era un piccolo “recanto” dove una signora, forse anziana da sempre, faceva mostra della propria abilità di taglio in una sorta di vetrinetta. Un po’ come accade in certe gastronomie o ristoranti bolognesi dove le mani di capaci donne esibiscono l’abilità di tirare la sfoglie e preparare la pasta ripiena.
Oggi non è più abitudine distinguere la cena del 31 dicembre dal pranzo del primo dell’anno. Un tempo, invece, non era così. Il primo giorno dell’anno un primo piatto diffuso era costituito dai corzetti alla polceverasca che venivano conditi con il sugo dell’arrosto. Un arrosto di maiale che, quindi, faceva mostra di sé al momento del secondo. Non mancava, invece, il fritto misto nella sua declinazione genovese ma dove cervella di vitello, fegato. magro di vitello, scorzonera e carciofi erano una presenza imprescindibile. Sempre tra i fritti potevano esserci anche gli stecchi che era una preparazione deluxe.
Per chiudere frutta e dolci natalizi e in questo ci supporta anche il poeta Niccolò Bacigalupo nella sua celebre poesia “Il Tondo di Natale” dove si apprende anche come, un tempo a Genova, il pranzo di Natale si concludesse con un’alzatina di burroso stracchino inteso cole dessert. Potenza della tradizione.
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